di Roberto Mancini*
Parole-chiave: filosofia, bisogno, critica, vita, potere.
L'articolo porta l'attenzione sul bisogno di filosofia nella società contemporanea in alternativa alle derive che spingono verso la neutralizzazione del pensiero critico.
Chiunque
conosca la storia del pensiero filosofico sa che, con l’evoluzione delle epoche
e il differenziarsi delle tradizioni, la filosofia ha sia un nucleo permanente
che configurazioni specifiche, rispondenti al mutamento dei contesti storici.
Rispetto al suo nucleo essenziale, essa implica l’esercizio della riflessione
sul senso e sulla verità mediante lo sviluppo di un pensiero critico-euristico.
Al tempo stesso, e più radicalmente, la filosofia è iniziazione alla vita, in
modo che quando qualcuno matura i significati della sua esperienza della verità
incarnandoli nel proprio modo di esistere essa si delinea come una forma di
vita. Di conseguenza è un uso improprio quello per cui spesso si parla di
“filosofia” come se il termine fosse sinonimo di una semplice teoria.
La
stagione storica presente è antitetica alla sensibilità filosofica perché è
pervasa da logiche di potere globalizzate - dalla finanza alla tecnocrazia,
dalla mediacrazia alla geobellica - e dalla tendenza a rimuovere l’attenzione
ai significati a favore di un’assolutizzazione del pensiero calcolante. Come
regina della cultura e del mutamento sociale è stata investita la cosiddetta
“intelligenza” artificiale, per la potenza e per la velocità delle sue
prestazioni di calcolo e di elaborazione dei dati. Il grado di riflessione
sociale in merito non va più in là di un discorso che miscela enfasi sulle sue
meraviglie, richiamo circa gli eventuali pericoli e invito finale a “governare”
questa nuova tecnologia.
Ma
è qui che il discorso dovrebbe iniziare. Anzitutto osservando che, affinché sia
dia propriamente “intelligenza”, occorrono capacità di riconoscimento dei
significati, capacità di interpretare i dati e di metterli in una prospettiva
di senso, capacità di discernimento etico e sensibilità affettiva, tutte cose
che non possiamo chiedere alla cosiddetta “intelligenza artificiale”. Ancora
più essenzialmente andrebbe ricordato che c’è intelligenza lì dove c’è
un’apertura alla relazione con la verità, altrimenti il pensiero umano
regredisce nella barbarie. Un ulteriore elemento di lucidità indurrebbe a
tenere presente come, nella società attuale, noi governiamo molto poco le
dinamiche sociali e la democrazia è compromessa quasi ovunque nel mondo.
Al
di là dell’ubriacatura ideologica per l’avvento dell’intelligenza artificiale,
ci sono altri fattori ostativi perché sussista una rilevanza sociale della
filosofia. Ricorderei tra questi il prevalere di forme di comunicazione povere
di riflessività e di contatto con la realtà; l’aggressione da parte dei governi
alle istituzioni finalizzate all’educazione e alla conoscenza come la scuola e
l’università; l’accelerazione sociale dei ritmi di vita che determina una
polverizzazione dell’esperienza delle persone e delle comunità. Ma soprattutto
credo che la potenza delle ideologie dominanti, riassumibili nella logica del
potere declinata in molte versioni, rappresenti la deriva principale, in grado
di restringere drasticamente la vita della filosofia.
Le
ideologie dei secoli passati, per esempio il liberalismo e il socialismo,
avevano una indole narrativa, identitaria e militante. Offrivano un racconto
esplicativo della storia e indicavano a ciascuno la sua collocazione ideale e
sociale. A quelle ideologie si aderiva, scegliendo un orientamento e acquisendo
un senso di appartenenza. A essa erano legate parole d’ordine, canti, simboli, modi
di parlare, di agire, di vestire. Davano risposta al bisogno di identità
sociale e modo di partecipare al conflitto tra le classi.
Dal
1989 a oggi è stato proclamato, con pretesa iper-ideologica, il crollo delle
ideologie. In verità abbiamo assistito alla loro mutazione genetica: ora
dominano ideologie di nuova generazione che non hanno più veste narrativa,
identitaria e militante perché si tratta piuttosto di ideologie esecutive. Sono
già operative nella logica di funzionamento dei grandi sistemi organizzativi
della società globale. Convergono in un nichilismo che non è tanto negazione di
verità, senso e valori, quanto consegna di se stessi agli automatismi dei
sistemi di potere.
Se
sei sul mercato, devi produrre, consumare, competere, essere flessibile. Se sei
nell’infosfera devi interagire secondo le modalità dei dispositivi digitali. Se
sei nel mondo dei media e dei social devi esporti o presentarti
secondo le leggi della visibilità e dell’autopromozione. Tutto questo toglie la
distanza necessaria alla riflessione, alla scelta di aderire o meno,
all’orientamento dell’esistenza; ci si trova dentro queste logiche che operano
come un medium, un elemento mediatore che struttura pensieri, emozioni,
sentimenti, comportamenti, opzioni, di solito senza che l’individuo se ne renda
conto. Con questa mutazione genetica, l’ideologia è divenuta più subdola,
insinuante e contagiosa, dunque molto più difficile da contrastare.
In
un contesto storico e culturale di questo tipo, lo spazio e l’ispirazione per
coltivare la filosofia diventano molto rari. Eppure, non si può dire che il
bisogno di filosofia sia stato estirpato dal cuore, dalla coscienza, dalla
ragione, dall’anima degli esseri umani. Quel bisogno si radica, in effetti,
nella relazione costitutiva, e a mio avviso irriducibile, tra umanità e verità.
Perciò quel bisogno non viene distrutto, anche quando le condizioni sociali
sono più ostili, ma riemerge in forme inedite resistendo alla pressione
dell’ideologia, della manipolazione, della menzogna organizzata e
dell’ignoranza, cioè di tutti quei fattori che potrebbero essere denominati
sinteticamente la stupidità artificiale.
Nel
suo scritto giovanile Differenza tra il sistema filosofico di Fichte e quello
di Schelling Hegel individua l’emergere del bisogno di filosofia
proprio nelle epoche di crisi, quelle nelle quali la società sembra perdere contatto
con la vitalità dello Spirito. Il problema si fa acuto, secondo lui, non quando
in generale si dà una scissione tra cultura e dinamiche spirituali, bensì
allorché la scissione si insedia come normalità, verità socialmente assunta,
condizione naturale, per cui essa rischia di porsi come scissione assoluta. La
contesa tra ragione e intelletto oggi, per certi versi, potrebbe essere
ripensata come quella che sussiste tra pensiero critico e logiche ideologiche.
Scrive
Hegel: “quanto più la cultura si diffonde, quanto più variamente si sviluppano
le manifestazioni della vita, alle quali può intrecciarsi la scissione, tanto
maggiore diviene la potenza della scissione, tanto più si consolida e si
consacra la sua acclimatazione, tanto più divengono estranei all’intero della
cultura e privi di significato gli sforzi della vita per rinascere all’armonia”
(G. W. F. Hegel, Differenz des Fichte’schen und Schelling’schen Systems der
Philosophie, in Id., Jenaer Kritische Schriften, in Gesammelte
Werke, a cura di H. Buchner - O. Pöggeler, Meiner, Hamburg, vol. IV: 1968,
p. 14, tr. it. a cura di R. Bodei, Differenza tra i sistemi filosofici di
Fichte e di Schelling, in Id., Primi
scritti critici, Mursia, Milano, 1990, p. 15).
Malgrado
il nostro sia il tempo del nichilismo che pratica la scissione come sistematica
disgregazione di tutte le relazioni vitali, il bisogno di filosofia riaffiora,
intanto, nella sete di spiritualità avvertita da molte persone. Poi si afferma
nel desiderio di senso e nella ricerca di un’altra società - nonviolenta,
ecologica, davvero democratica - che emergono nella parte più consapevole e
attiva delle nuove generazioni. Se ci si pone in ascolto attento, si coglie
come già bambine e bambini, non appena si dialoga con loro, esprimano capacità,
bisogno e desiderio di riconoscere significati per la vita.
Poiché
la più forte negazione contro un senso che illumini la condizione umana e del
mondo viene dall’arroganza dei sistemi di potere e dei loro funzionari, tutte
le categorie antropologiche che ne sono vittime custodiscono un bisogno
radicale di filosofia, come aveva già intuito Ágnes Heller (cfr. Philosophie
des linken Radikalismus, VSA, Hamburg, 1978, tr. it. di L. Boella, La
filosofia radicale, il Saggiatore, Milano, 1979). Tale bisogno è
riconosciuto e tematizzato, ad esempio, dai movimenti femministi, dalle
comunità etniche in situazione di diaspora, da tutte le correnti del pensiero
post-coloniale, dalle diverse forme del pensiero ecologico, dalle teologie non
sacrali.
Apparentemente
l’esigenza di un rinnovamento profondo della cultura e la possibilità della riapertura
della coscienza umana risultano ancora eluse. Il panorama della filosofia
“ufficiale” manca di grandi e autorevoli figure; tutto sembra risolversi in
festival-vetrina, apparizioni televisive e attività accademiche
autoreferenziali che cercano rilievo sociale nella cosiddetta “terza missione”.
Eppure, la ragione filosofica resta indomabile e generativa, malgrado le
illusioni dell’ideologia, i progetti di manipolazione delle coscienze, la
tecnolatria e le politiche governative di coltivazione dell’ignoranza. La vita
del mondo, a dispetto di tutti i deliranti militanti della necrofilia, si
rinnova sempre e, con essa, si risolleva il pensiero critico e rivelativo.
In
uno scenario simile studentesse, studenti, docenti di filosofia, nella scuola
come nell’università, hanno un compito per nulla convenzionale. Non possono
limitarsi a studiare, a insegnare o a imparare una materia specialistica,
giacché piuttosto devono avere la lucidità e il coraggio necessari a concepire
una profonda conversione di civiltà e una nuova esperienza della verità. Il
loro sarà un apporto essenziale all’umanesimo estremo del nostro tempo.
“Estremo” perché deve rinnovarsi portandosi oltre il confine delle sue vecchie
cadute ideologiche. Cadute nel classismo, nell’eurocentrismo, nel sessismo.
L’umanesimo oggi deve dispiegarsi più autenticamente in una situazione storica
in cui vengono portate aggressioni a dismisura contro umanità e natura.
Nel
tempo in cui la pulsione di morte è divenuta una tendenza attuata dal sistema
del tecnocapitalismo, dai sovranismi e dall’allucinata, feroce geobellica degli
autocrati, vale in modo storicamente inedito la vocazione della filosofia a
maturare come forma di adesione alla vita, cioè come forma di esistenza
che si eleva alla sintonia con la vita universale respingendo ogni fascinazione
della distruttività e della fine.
*Roberto Mancini è Professore Ordinario di Filosofia Teoretica e Direttore del Dipartimento di Studi Umanistici presso l'Università di Macerata (https://docenti.unimc.it/roberto.mancini).
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