di Andrea Fiamma*
Parole-chiave: intelligenza artificiale, medioevo, tecnica, storia della filosofia, umanesimo
L’Intelligenza
Artificiale rappresenta la novità “filosofica” dell’ultimo anno. Alcuni
presupposti teorici di questa innovazione tecnologica sono stati formulati nella
tradizione filosofica antica e medievale.
Da
quando il software per la cosiddetta “Intelligenza Artificiale” è divenuto
“aperto” (Open-AI), ovvero disponibile per l’interazione con chiunque acceda alla
piattaforma predisposta per il suo “addestramento”, molte sono state le
reazioni da parte della comunità intellettuale. In essa, bisogna includere
anche studiosi di discipline filosofiche, letterarie e in generale umanistiche,
i quali, pur senza una specifica competenza in materia, si sono affrettati a
dividersi tra “apocalittici” e “integrati” (per riprendere una nota formula di
Umberto Eco a proposito dei media di
massa). Tale clamore è dovuto principalmente al fatto che l’esperimento
tecnologico, ma anche sociale e politico, di Open-AI sembra porci dinanzi alla realizzazione (o, quantomeno, all’orizzonte
del realizzarsi) di un vecchio sogno di alcuni filosofi e visionari - e che,
per altri, si configurò nei termini di un incubo: la costruzione di una
macchina che sappia pensare, tradurre testi, financo produrli; di un oggetto
meccanico che, in altri termini, sappia svolgere i compiti che per millenni
abbiamo ritenuto essere prerogativa umana.
Bisogna
però essere più precisi. Non si tratta tanto della “macchina semovente”, ovvero
di un marchingegno composto di materia inerte che prende vita senza bisogno
dell’abbrivio umano, come il Golem che Alberto Magno avrebbe costruito nel suo
laboratorio (e che Tommaso d’Aquino, sempre secondo la leggenda, avrebbe
distrutto), alla cui esistenza la letteratura del fantastico ci ha abituato fin
dal XIX secolo con la figura dell’androide, bensì della “macchina che pensa”, ovvero
della riproduzione artificiale di una “mente”. Per la prima volta, ci si
imbatte in una cosa-che-pensa, a quanto ne sappiamo “inestesa” (varrà la pena
chiedersi se questa mente richieda un corpo[1] e quale esso sia o debba essere[2]), che presenta tutte le
caratteristiche che si possono rinvenire in una mente “umana” (o la maggior
parte di esse): svolge calcoli, traduce, associa o disambigua concetti, ne
sintetizza altri e così via. Per giunta, l’intelligenza artificiale avrebbe la
possibilità di svolgere queste funzioni in maniera decisamente più performante
rispetto all’uomo – così, la paura per la competizione tra “intelligenze” ha
indotto i filosofi a porsi numerose questioni sull’impatto sociale
dell’implementazione dell’IA in ambito lavorativo o a credere che l’uso della
IA finirà per mutare anche l’intelligenza “umana” fino a renderla disumana[3].
Bisogna
ricordare che alcuni tra i presupposti teorici di questa “innovazione
tecnologica” affondano nel pensiero medievale: è stato, ad esempio, Al-Kindi a
concepire per primo la nozione di una traduzione automatica tra lingue diverse.
La premessa teorica maggiormente articolata per la concezione di una “macchina
che pensa” si trova, però, nelle opere di Raimondo Lullo e di coloro che a
Lullo hanno continuato ad ispirarsi per secoli – tra cui Giulio Camillo
Delminio[4]. Lullo assume rilievo
essenzialmente per due aspetti:
1.
La rivalutazione delle arti meccaniche nei confronti delle arti liberali;
2.
Il tentativo di costruire egli stesso una “macchina che pensa”.
A
proposito della concezione lulliana delle arti meccaniche è utile consultare lo
studio di Ruedi Imbach e Catherine König-Pralong, tradotto in italiano come “La
sfida laica”[5],
in cui si mostra l’originalità delle posizioni assunte da Lullo nel Liber contemplationis e nella Doctrina pueril (scritto in lingua
catalana): mentre la tradizione precedente – Ugo di San Vittore, Bonaventura,
Tommaso d’Aquino – afferma la subalternità delle arti meccaniche (e della
classe sociale che le pratica) rispetto alle discipline teoriche, in primis alla filosofia speculativa e
alla teologia, Lullo le descrive come forme di sapere che, seppur legate al
corpo, sviluppano conoscenze tipicamente “umane”, tali da permettere anche possibili interpretazioni spirituali di questi “mestieri” meccanici. Bisogna
dunque ripensare il quadro delle scienze aristoteliche e ritagliare uno spazio
diverso anche a tutta una serie di artes fino
ad allora considerate “minori”.
Lullo
vara, dunque, il progetto di una Ars
magna o generalis, intesa come una “arte delle arti”,
entro la quale comprendere tutte le arti, allo scopo di ripensare
l’universalità del sapere non più in vista di fini meramente teoretici, secondo
il progetto di Aristotele, bensì riconfigurandolo come un sapere “nuovo”,
frutto di conoscenze utili per svolgere attività tanto intellettuali quanto
artigianali. Questo ripensamento delle caratteristiche della conoscenza umana
nei termini della “funzionalità” pratica dispone Lullo ad una diversa concezione
della “mente” rispetto alla tradizione precedente: la mente si definisce come
ciò che è capace di svolgere una serie di funzioni, tanto teoriche quanto,
mediante il corpo, meccaniche. Per Lullo, marchingegni e sistemi automatici
possono dunque supportare la mente in tutte le proprie attività e contribuire
così al suo miglioramento. Al contrario di ciò che riteniamo oggi, la tecnica
per Lullo non produce un mondo artificiale, cioè non naturale: poiché ars imitatur naturam, allora anche i
suoi prodotti meccanici contribuiscono alla realizzazione dell’essenza umana.
Un
esempio di interazione tra l’uomo e la macchina viene fornito dall’analisi logica[6]. Lullo sviluppa uno
speciale metodo di controllo del ragionamento umano che è divenuto noto grazie
a Leibniz come “logica combinatoria”. In sintesi, per Lullo è possibile
indicare contenuti del pensiero mediante simboli, che possono essere combinati
tra loro secondo specifiche regole. Questa attività permette di realizzare al meglio
le potenzialità della mente umana, che altrimenti non potrebbe gestire una così
grande quantità di pensieri nello stesso procedimento logico. Tuttavia, il
calcolo combinatorio può essere a sua volta complesso. Per coadiuvare la mente
umana in questo esercizio, Lullo inventa un marchingegno meccanico composto da
ruote concentriche, in cui ogni circonferenza è scandita da una diversa serie
di simboli: nella ruota interna, i simboli indicano il soggetto di una
proposizione, mentre in quella esterna fanno riferimento agli attributi. Le
infinite combinazioni tra simboli generate dalla macchina supportano il
ragionamento progressivo dell’uomo, che è così indotto ad una analisi sempre
crescente delle possibilità estensive della logica. Nella “macchina per pensare”
di Lullo, il fattore umano resta però decisivo: non tutti i sillogismi
suggeriti dalla macchina sono veri, perciò è necessario che l’uomo controlli le
catene logiche distinguendo le vere da quelle false, dunque esercitando l’attività
del giudizio. La stessa mente umana deve, in effetti, adattarsi alla macchina,
individuando la maniera migliore per sfruttarne le potenzialità.
L’esperimento
di Lullo non rimase però isolato. La tradizione lulliana rivisitò in seguito la
“macchina per pensare”: è il caso della macchina per comporre poemi di Giulio
Camillo Delminio: questi volle costruire una macchina che fosse in grado di accrescere
il sapere procedendo in maniera autonoma rispetto all’uomo. Ci si avvicina, in
questo caso, al modello dell’Intelligenza Artificiale: una macchina che produce
pensiero indipendentemente dall’uomo. Delminio ripensò la “macchina per pensare”
di Lullo attribuendo una serie di terminologie poetiche alle ruote
concentriche: così, ruotando, la macchina poteva comporre autonomamente vere e
proprie poesie, fino ad interi poemi. La lulliana macchina “per” pensare
divenne così una “macchina che pensa” e che si sostituisce all’uomo proprio
nell’atto creativo del pensiero. L’esperimento di Delminio era però destinato
ad arenarsi a motivo della scarsa abilità tecnica della macchina – ma chiunque
provasse oggi a chiedere all’Intelligenza Artificiale di comporre una poesia in
guisa di quanto sognato da Delminio resterebbe stupefatto dalla verosimiglianza
del componimento artificiale rispetto ad un qualsiasi testo scritto
dall’intelligenza umana. Né Lullo, né Delminio, però, avevano concepito le proprie
macchine come strumenti in competizione con l’uomo – sarà stato forse il mero
miglioramento qualitativo delle arti meccaniche a far cambiare idea a tanti
intellettuali di questi decenni?
[1] In
merito alle “due metafisiche” cartesiane, del corpo e della mente, e alla
necessità della loro ‘congiunzione’ si è esercitata a lungo la filosofia
post-cartesiana, vedi E. Scribano, Macchine
con la mente, Carocci, Roma 2015.
[2] Nessun corpo sembra degno di tale “intelligenza” generale, se non il corpo sociale dell’intera umanità. A tal proposito è utile rimandare alle riflessioni di Augusto Illuminati sul possibile uso della nozione di intelletto generale di Averroé nell’informatica, vedi A. Illuminati, Averroè e l'intelletto pubblico. Antologia di scritti di Ibn Rusha sull'anima, Manifestolibri, Roma 1996. Vedi anche A. Illuminati, “Averroè, una traduzione ininterrotta”, Doctor Virtualis, 17 (2022), pp. 107-129.
[3] M. Crippa, G. Girgenti, Umano, poco umano. Esercizi spirituali contro l’Intelligenza Artificiale, Piemme, Milano 2024.
[4] C.
Vasoli, Uno scritto inedito di Giulio
Camillo: “De l’humana deificatione”, “Rinascimento” 24 (1984), pp. 191-227.
[5] R.
Imbach, C. König-Pralong, La sfida laica.
Per una nuova storia della filosofia medievale, Carocci, Roma 2016, sulla
rivalutazione lulliana delle arti meccaniche vedi pp. 87-100.
[6] Paolo
Rossi, Clavis Universalis. Arti
mnemoniche e logica combinatoria da Lullo a Leibniz, Bologna, il Mulino
1983
* Andrea Fiamma è docente a contratto di Storia della filosofia medievale presso l’Università di Macerata per l’a.a. 2024/2025 (https://docenti.unimc.it/andrea.fiamma)
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